AMORE & VITA PRODIR nel nome di Karol Woityla
Pedalate benedette di un team controcorrente, “battezzato” addirittura da un santo del nostro tempo. Fu infatti papa Giovanni Paolo II esattamente trent’anni fa a suggerire il nome di “Amore & Vita” a una squadra che ha scritto pagine importanti della storia del ciclismo preferendo sempre sulle proprie maglie un messaggio forte rispetto all’etichetta milionaria di uno sponsor.
Un anniversario rivendicato con orgoglio e un pizzico di emozione da Ivano Fanini, patron della società con sede a Capannori (Lucca). «Era il 1989. Con alcuni amici tra cui Roberto Formigoni (presidente onorario del club) decidemmo di lanciare una campagna contro l’aborto. Allora avevo due squadre, Pepsi-Fanini e Polli-Fanini. Sulla maglia di un team scrivemmo “No all’aborto” e sull’altra “Dio ti ama”. Presentammo quest’iniziativa in Vaticano e Giovanni Paolo II ne fu molto contento». Ma le reazioni non si fecero attendere. «Le femministe si scatenarono e la domenica successiva inscenarono una contestazione molto dura in occasione della classica Milano-Vignola che partiva da piazza Duomo. Ci assalirono con le bombolette spray e quando finalmente la corsa prese il via lo facemmo con le ammiraglie e le divise dei corridori tutte imbrattate. Ma non finì lì. Il caso fu denunciato all’Unione ciclistica internazionale che ci vietò di mettere quelle maglie».
La soluzione arrivò però da un tifoso speciale: «Fu papa Wojtyla in persona a risolvere il problema dicendo: “Ma perché non chiamate la squadra Amore e Vita?”. Aveva ragione. Sono due parole centrali nel Vangelo e dal valore universale, un messaggio condiviso anche dai nostri sostenitori e corridori non credenti». Un legame con Giovanni Paolo II rinnovato ogni anno: «Ci ha ricevuto privatamente in Vaticano per venticinque anni di fila. Si intratteneva con tutti facendo tante domande. Era un grande appassionato, mi spinse a prendere in squadra anche ciclisti polacchi…».
Il team ha corso quest’anno con una maglietta ad hoc per il trentennale, con un cuore grande dai tradizionali colori sociali, il rosa e l’azzurro, che richiamano la nascita di una bambina o un bambino, scelti proprio per la campagna antiabortista. Ma l’Amore & Vita che negli anni ha lanciato campioni come Cipollini e Bartoli e vinto con gente come Baronchelli, Chioccioli o Sorensen, ha alle spalle una storia molto più lunga. «Già nel 1948 - continua Ivano Fanini - mio padre aveva messo su una società dilettantistica. Io sono entrato come sponsor nel professionismo negli anni Settanta, dal 1984 come team Fanini. Possiamo dire di essere la squadra più longeva al mondo». Una passione ereditata, ma anche alimentata da un mito di questo sport: «Gino Bartali, un idolo, oltre che un amico di famiglia. È stato un grande onore averlo come primo direttore sportivo dell’Amore & Vita. Un campione molto credente, la cui fede è stata per me un modello. Con noi si spese con entusiasmo e per pura amicizia, esponendosi anche nelle nostre battaglie».
Quella contro l’aborto non fu infatti una campagna isolata. «Già nel 1990 lanciammo la proposta del casco per i corridori: ci prendevano tutti in giro e invece un decennio più tardi è diventato obbligatorio grazie alla nostra iniziativa. Ma abbiamo sposato anche lotta al fumo insieme con la Lega contro i tumori e facemmo una maglietta speciale “americana” contro il terrorismo dopo l’attentato alle Torri Gemelle. Così come, quando ci fu la polemica per la rimozione del crocifisso nelle scuole, ne mettemmo uno su ogni nostra bicicletta». Ma il cavallo di battaglia per eccellenza è da sempre la lotta al doping, che ha spinto più volte Ivano Fanini a denunce molto forti. «Tutto cominciò quando il direttore sportivo della mia squadra una volta sfondando una porta d’albergo trovò un mio corridore in fin di vita in un lago di sangue. Capii che dovevo far qualcosa. Nel 1996 quando il Giro partiva dalla Grecia chiamai i Nas di Firenze e suggerii loro di fare una retata quando la carovana sarebbe arrivata con la nave a Brindisi. Ma ci fu una soffiata e le squadre fecero sparire tutte le medicine». Un caso che ebbe presto delle conseguenze: «Da quel Giro cambiarono i regolamenti e non fui più invitato, sebbene avessimo vinto tante tappe e partecipassimo da molti anni. E non mi invitarono più nemmeno agli altri grandi giri. Ma non mi sono mai pentito delle mie denunce, altrimenti avrei già rinunciato ad Amore & Vita accettando i milioni di uno sponsor. Io sono fiero delle mie battaglie, valgono molto di più di tante vittorie perché hanno contribuito a salvare vite umane. Anche l’operazione che poi ha fermato Armstrong è nata da un mio intervento». Così Ivano Fanini è diventato un personaggio “scomodo”: «Me ne hanno dette di tutti i colori. Persino che ricevevo soldi dal Vaticano! In realtà ho subito un danno economico e d’immagine importante con l’esclusione dai grandi giri».
Oggi però qualcosa è cambiato nel ciclismo: «Ci sono più controlli ed è passata anche la mia proposta di squalifiche più lunghe. Anche se le grandi squadre, che hanno budget di 30-40 milioni, riescono a farla franca se vogliono». Un sistema in cui ancora non si ritrova: «I risultati e il business sono sempre più determinanti, si gareggia troppo. Mi piacerebbe tornare al Giro - ammette Fanini - ma credo sia molto difficile. Voglio andare avanti con le mie forze facendo un ciclismo umano, con massimo 70 gare in un anno. È la stessa ragione per cui sono contento che mio figlio dopo dieci anni da corridore professionista abbia smesso: a certi livelli si sarebbe scottato anche lui». Ma a conferma che la passione familiare per la bici rimanga intatta e si tramandi, oggi il timone della squadra è passato proprio al figlio Cristian, 43 anni, attuale team manager: «Sono diventato professionista a 18 anni, nel 1996. Ho corso in anni in cui l’unico paletto contro il doping era quello dell’ematocrito alto per cui rischiavi al massimo 15 giorni di sospensione. Correndo da “pulito” non nego di aver fatto molta fatica, mi ammalavo spesso. Ma io ho avuto la fortuna di una famiglia che mi ha trasmesso determinati principi. Sono felice di dirigere oggi una squadra innanzitutto con valori forti e con una storia di migliaia di corse vinte, con 12 titoli mondiali… Anche quest’anno Amore & Vita-Prodir ha colto dieci importanti successi, vogliamo continuare a lanciare giovani talenti scovandoli anche all’estero: abbiamo un progetto per valorizzare i migliori ciclisti della Lettonia verso Tokyo 2020».
Una passione più forte di tutto: «Mi fanno male - ammette Cristian - le cattiverie gratuite su mio padre da parte di chi nemmeno lo conosce. Spesso l’hanno dipinto come uno che ha sputato nel piatto in cui mangia. In realtà lui l’ha fatto per il bene di questo sport e per la salute dei corridori. E anziché essere tutelati siamo stati perseguitati e messi ai margini, rimettendoci di tasca nostra. Oggi però c’è più consapevolezza che se non si combatte il doping ci rimettiamo tutti. L’onestà è il valore più importante che mi hanno trasmesso i miei genitori insieme alla fede. E quando si crede in qualcosa non bisogna vergognarsi di testimoniarlo. Se portiamo avanti degli ideali non possiamo avere due facce. È un impegno racchiuso nel nome stesso della squadra: un inno alla vita che vogliamo continuare a onorare».
di Antonio Giuliano, da Avvenire del 15 dicembre 2019